Riflessioni sul vocabolo “impotenza”
Credo che riflettere sull’impotenza, contestualizzandola ad oggi, ci permetta di ascoltarci e di dare valore a quel mondo spesso etichettato come mondo dei deboli, dei malati o di chi ancora vive con la testa tra le nuvole. Mi riferisco a quella realtà interna, comprensiva di emozioni, sentimenti, stati d’animo che chiede voce. Il corpo sappiamo che parla con il suo modo diverso dalla parola, ma non meno ampio, tra una gamma di percezioni: mal di pancia, dermatiti, dolori articolari, senso di svenimento, perdita di forza e molto altro. Spesso questo succede, come difesa. Il contrario dell’impotenza è Potere, essere in grado, volere. Sentirsi impotenti fa parte del nostro corredo genetico e psicologico come sentirsi potenti. L’uno e l’altro si alternano a seconda dei momenti e anche del come si è stati accompagnati al senso della vita.
Guardandoci dentro e fuori, usando come lente e bussola queste due parole sorelle, possiamo osservare che nessuno, o quasi, riesce a sopportare questo stato. Si cerca di reagire con i propri utensili. Si prendono due vie, una è quella della caduta in un ritiro interno, penoso che può sfociare in varie forme, dalla rassegnazione a quelle depressive, l’altra via è quella aggressiva e violenta.
In entrambe le strade ci si può perdere. E forse quello che possiamo vedere oggi tra le reazioni è di trovare con fatica la terza via. In questo momento storico culturale con una situazione sociosanitaria devastante, ho dovuto per prima accogliere quel senso di impotenza che mi arrivava nell’ascolto quotidiano di quello che ci stava succedendo. Ho lavorato molto con la meditazione e con lo strumento creativo e scientifico aiutando così anche i miei pazienti, o chi mi chiedeva anche un solo incontro terapeutico. Mi sono aperta a modalità terapeutiche nuove per me e per la mia convinzione che non si potesse fare terapia, almeno funzionale, senza un incontro da vicino, nel setting del mio studio. Invece ho accettato, l’impotenza iniziale, l’ho ascoltata e trovato nuove strade, che oggi si sono trasformate da rifiuto a risorsa. Quotidianamente mi arricchiscono e nutrono l’anima, bisognosa di soluzioni nuove e non preconfezionate.
Anche le parole sono state riviste e trasformate. Una di queste è la parola “paziente” che in molti momenti la vivevo con diffidenza, per il patrimonio culturale a lei legato. Guardandola, in un modo nuovo, ne ho sentito la parte della qualità, essere paziente, capace di portare attenzione al proprio sentire, per poter poi comunicare, come nella cura del proprio giardino o balcone o anche dell’unica pianta che si ha in casa. Dottoressa Nunzia Fasano Psicologa Psicoteraputa