Anticorpi monoclonali… state of the art e correlazione COVID-19

Anticorpi monoclonali… state of the art e correlazione COVID-19

 

Sin dalla loro prima comparsa e commercializzazione 1986, gli anticorpi monoclonali, sono divenuti una classe di prodotti biofarmaceutici in continua ascesa. Il loro giro di affare è stimato oltre i 125 miliardi di dollari e con vendite in tutto il mondo.  Vengono utilizzati per la lotta di diverse patologie, sia in campo immunologico-reumatologico, sia oncologico, malattie rare, persino per patologie neurologiche come la cefalea. In questo ultimo caso, ad esempio, questi anticorpi monoclonali prendono di mira la via peptidica correlata al gene calcitonina (CGRP) della patogenesi dell’emicrania, con sviluppo specifico per il trattamento profilattico dell’emicrania cronica; essi, anti-CGRP/R, hanno dimostrato una buona efficacia e un’eccellente tollerabilità negli studi clinici di fase II e III e offrono nuove speranze ai pazienti che attualmente non assumono alcuna terapia profilattica o non beneficiano del loro trattamento attuale. Attualmente vengono anche condotti studi per fronteggiare la malattia indotta dal virus Sars-CoV-2.

Solo nel 2014 sono state commercializzate negli Stati Uniti e Europa ben 47 anticorpi monoclonali, oggi il numero ha raggiunto circa 70 approvazioni e sono in fase di sperimentazione circa 147 anticorpi.

Queste nuove armi, che nel nostro organismo costituiscono alcune delle linee di difesa presenti nel sistema immunitario, vengono prodotte dalle cellule B. Esse riconoscono specifiche sezione dell’agente estraneo e patogeno (antigene), neutralizzandolo.

In laboratorio, sintetizzando la tecnica di Kohler e Milstein, si ha l’immunizzazione nel topo per un antigene specifico, il prelievo dei linfociti B della milza del topo, la fusione con cellule tumorali del sangue (mieloma) in un terreno di coltura in modo da renderli immortali. La fusione che si crea viene definita ibridoma; queste cellule fuse sono capaci di continuare a clonarsi e produrre anticorpi.

Esistono quatto tipologie di anticorpi monoclonali classificabili in base all’origine di produzione (tutti definiti con il suffisso mAb). Origine murina (-omab): interamente derivati da cellule di topo. Chimerici (-ximab): ottenuti mediante tecniche di biologia molecolare che consentono di sostituire alcune parti dell’anticorpo monoclonale derivato da cellule di topo (la regione costante) con la corrispondente parte di proteina di origine umana. Umanizzati (-zumab): derivati principalmente da cellule umane ad eccezione della parte dell’anticorpo che si lega all’antigene bersaglio. Umani (-umab): interamente derivate da cellule umane. A livello strutturale alcuni sono anticorpi monoclonali nudi a figura intera es Prolia (denosumab). Altri sono prodotti da Escheria Coli leganti antigene Fab esempio Lucentis (ranimizumab) oppure proteine Fc-fusion contenenti la regione costante anticorpale fusa ad un altro dominio proteico correlato agli anticorpi, esempio Eylea (aflibercept).

Possono essere legati (coniugati) a farmaci Adcetris (brentuximab vedotin) o molecole radioattive (radioimmunoterapia) esempio Zevalina (ibritumomab tiuxetan) per veicolare e indirizzare con estrema precisione il principio attivo verso il bersaglio. Possono essere anticorpi bispecifici, BsmAb oppure BsAb; cioè costituiti da una proteina artificiale composta di frammenti di due diversi anticorpi monoclonali. In questo modo un anticorpo ha la possibilità di legarsi contemporaneamente a due diversi antigeni esempio Removab (catumaxomab).  Sono stati approvati, inoltre, i primi due anticorpi monoclonali biosimilari, Remsima e Inflectra, contenenti infliximab, simili al biologico Remicade. Il biosimilare mantiene una stretta similitudine tra caratteristiche fisico-chimiche, efficacia, sicurezza rispetto all’originator, permettendo una maggiore alternativa di trattamento.

Come tutte le sostane esogene introdotte nel nostro corpo, anche i mAb possono indurre effetti collaterali, che nei casi più comuni includono: reazioni allergiche come orticaria, sintomi simil influenza, nausea, diarrea, eruzioni cutanee e bassa pressione. Tuttavia, si possono manifestare all’assunzione anche gravi effetti quali dopo infusione per gravi reazioni allergiche, anemia con riduzione dei globuli rossi, problemi cardiaci, polmonari, della pelle dovuto a gravi infezioni. Il loro uso, come consueto nella pratica clinica, deve sottostare alla legge rischio-beneficio.

Durante questa pandemia causata dal virus Covid-19 appartenente alla famiglia dei Coronaviridae, capace di indurre una Sindrome Respiratoria Acuta Grave (SARS), il mondo scientifico ha cercato di individuare nuove strategie di difesa. La SARS-CoV2, sappiamo che può avere un decorso clinico variabile, un periodo di incubazione da 6 a 10 giorni e un esito fatale quando la risposta immunitari antivirale diviene iper-reattiva causando danni polmonari immunopatologici. Gli anticorpi divengono rilevabili nel siero del paziente tra i giorni 10 e 15 e sono correlati con un calo della carica virale. Più del 93% dei pazienti è stato dichiarato sieroconvertito entro il giorno 28. Nei test in vivo il trasferimento passivo del siero con anticorpi policlonali ha permesso di supporre una strategia di profilassi anticorpale nel controllo Sars-CoV2. Gli anticorpi monoclonali umani (mAbs) sono stati selezionati da librerie di visualizzazione di fagi anticorpali semisintetici utilizzando come bersaglio virioni interi irradiati con sindrome respiratoria acuta grave (SARS) coronavirus (CoV2). Dalla mappatura e analisi si è arrivati ad individuare anticorpi monoclonali capaci di neutralizzare due proteine Sars-CoV strutturali: la N (sul nucleocapside) e la S (spike). Nella proteina N, sono contenuti due principali epitopi conformazionali (riconosciuti in pazienti affetti da SARS), che tuttavia non hanno riscontrato significativa valenza di neutralizzazione, ma che inducono ad un possibile utilizzo per test diagnostici. L’anticorpo CR3018 è stato mappato ai residui da 11 a 19 della proteina N. È interessante notare che questo epitopo lineare è conservato nella sequenza di N proteine di tutti gli isolati umani pubblicati sars-cov e animali simili alla SARS-CoV, ma è assente in altri membri della famiglia dei Coronaviridae. La glicoproteina S, di membrana di tipo I, media invece l’ingresso alle cellule epiteliali respiratorie umane interagendo con il recettore dell’enzima di conversione dell’angiotensina-2. Su di essa si sono individuati in modo particolare la regione S1(composta da quattro domini S1a, S1b, S1c, S1d) che media l’interazione con il recettore della cellula ospite; S2 che media la fusione della membrana virale con quella cellulare.  Nello specifico nel dominio S1b è contenuta la sequenza che regola l’interazione con l’enzima umano angiotensina-2 (ACE-2) che funge da recettore (RBD). Quest’ultimo costituito da una sequenza di 193 aminoacidi. Alcuni degli anticorpi neutralizzanti in vitro sono stati capaci di interagire con questo frammento S1, in una regione che comprende residui che vanno da 318 a 510. Ad esempio, CR3014 e CR3022 legati non competitivamente alla sequenza RBD si sono dimostrati in grado di neutralizzare il virus in modo sinergico. Garantendo pertanto un’estensione dell’ampiezza immunitaria e allo stesso tempo questa sinergia può consentire la somministrazione di una dose totale minore di anticorpi per la profilassi immunitaria passiva. La neutralizzazione avviene quando è completamente bloccato il legame del frammento S1, impedendone così il legame con le cellule Vero (linea cellulare utilizzata in coltura) sensibili alla SARS CoV-2 nelle sperimentazioni effettuate. Difatti incide l’affinità di legame. Inoltre tramite mappatura epitopica, utilizzando frammenti ricombinanti da 318 a 510 contenenti mutazioni importanti presenti in natura, si è riscontrato l’importanza del residuo N479 per il legame dell’anticorpo monoclonale neutralizzante più potente CR3014. Inoltre quest’ultimo mAb ha un’affinità maggiore per S565 oltre al legame S318-510. Gli altri anticorpi testati pur riconoscendo questo epitopo conformazionale hanno un’affinità diversa. Pertanto, gli anticorpi neutralizzanti SARS-CoV2 potrebbero essere utilizzati per prevenire l’infezione nelle persone esposte alla SARS-CoV2, come il personale ospedaliero che si prende cura di sospetti pazienti con SARS, e potrebbero anche essere applicati per il trattamento precoce di individui infetti per evitare l’insorgenza di gravi malattie SARS e per ridurre la possibilità di diffondere il virus a individui esposti. L’immunoprofilassi dell’infezione da SARS-CoV con mAb potrebbe essere un’opzione per il controllo della SARS. Utilizzo dei vaccini e la possibilità di utilizzare anticorpi, potrebbe essere la giusta prevenzione come avviene già per la rabbia, la quale dopo esposizione richiede somministrazione di immunoglobulina preparata da sieri iperimmuni in combinazione con il vaccino.

In tal senso è utile ricordare lo studio clinico randomizzato promosso dall’AIFA per verificare se gli anticorpi monoclonali possono rappresentare una reale opzione terapeutica nella prevenzione e progressione del COVID-19 nella fase precoce. Ciò attraverso un protocollo che dovrà garantire il rispetto di determinati punti, con deadline per la presentazione dello stesso entro il 1 febbraio ore 12.  Attenderemo quindi i risultati.

Dott.ssa Caterina Tramontana

 

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4)Sacco S, Bendtsen L, Ashina M, et al. European headache federation guideline on the use of monoclonal antibodies acting on the calcitonin gene related peptide or its receptor for migraine prevention.J Headache Pain. 2019 Jan 16;20(1):6.

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10) www.aifa.gov.it