Etica in omeopatia

ETICA IN OMEOPATIA

 

A  cura di Pierluigi Gargiulo

 

 

 

 

 

Quando ci si riferisce all’etica (ἔθος letteralmente carattere, condotta, comportamento) vogliamo sottolineare, della filosofia, i fondamenti oggettivi, ma anche razionali, che consentono di distinguere i comportamenti. Comportamenti corretti, giusti, leciti, forse in maniera retorica persino enfatizzati come buoni, vanno “eticamente” distanziati da quelli ritenuti cattivi o moralmente inappropriati. Spesso s’indulge nella confusione fra i termini morale ed etica: per convenzione, vengono usati come sinonimi. Ma se il primo (la morale) rimanda a un insieme di ben definiti valori, a norme sane e a corretti costumi, siano essi quelli di un singolo individuo o di una determinata comunità, il secondo (l’etica) va circoscritto all’intento filosofico, quindi razionale, di una disciplina. La stessa etica, nell’ambito delle scienze, va inoltre differenziata dalla filosofia della scienza in quanto tale; quest’ultima con compiutezza si sofferma e analizza la conoscenza scientifica e i metodi con i quali si intende raggiungere questo sapere (aspetto epistemologico). Se ne deduce, dunque, che se la scienza mira alla comprensione di leggi e fenomeni naturali, sarà l’etica a chiarire l’intento di questo impegno. Nei confronti e nei contraddittori fra omeopati e critici dell’omeopatia, ma anche e soprattutto fra le varie scuole di pensiero che animano, e spesso agitano senza costrutto il dibattito interno, permane, su questi punti, un fondo d’ipocrisia a volte insormontabile. In realtà, questa ipocrisia non viene consapevolmente recepita. È molto meno doloroso per gli omeopati, infatti, rifugiarsi negli assiomi austeri di una disciplina più che bicentenaria. Per la scienza ufficiale, in linea di massima, è molto più comodo e agevole esercitare uno sbarramento aprioristico in termini di validità. Non so se riusciremo a definire compiutamente la stadiazione e l’evoluzione di questi assetti, ma la necessità di fare chiarezza su molte ambiguità rimosse non è più rinviabile. Il presupposto fondamentale su cui costruire un impianto progettuale corretto, è quello di identificare ed esprimere il fine etico dell’omeopatia; secondaria, e, assolutamente prescindente da ciò, è la sua validazione in termini di “accertabilità”. Esiste un criterio per giudicare questo obiettivo e la norma in cui rientra? Sono entrambi, questi presupposti, indirizzati verso un progetto corretto, oltreché utile? In sintesi, esiste nella medicina omeopatica un principio organizzativo ispirato, alle spalle di queste leggi e dei fenomeni naturali che le governano? Seguendo il principio secondo cui il fine di ogni azione (scientifica) si pone in prima istanza rispetto al dovere e all’intenzione con cui la si persegue, ogni atto scientifico deve (dovrebbe…) produrre un interesse anche minimo del bene sul male (aspetto teleologico). Al contrario, se optiamo per un criterio nel quale la modalità dell’azione è in fondo l’azione stessa, potremmo verificare che il dovere e l’intenzione sono poste ben prima del fine stesso dell’azione (aspetto deontologico). Ecco quindi squadernata con chiarezza una prima questione di fondo. All’omeopatia compete un discorso etico o solo un interesse della filosofia della scienza? E nel caso in cui si rientrasse nell’ambito della scienza, prevarrebbe, in essa, l’aspetto teleologico o quello deontologico?

Per essere ancora più chiari, l’omeopatia rappresenta una concezione fideistica o una metodologia scientifica? E ancora, il risultato terapeutico prescinde o no dalla spiegazione del suo modo di agire? Non sono delle risposte facili. Proprio per niente.

Conviene in questa sede accantonare la facile tentazione di indugiare sulle infinite e irrisolte diatribe sulla presunta scientificità dell’omeopatia, e su che cosa si debba intendere per scienza, soprattutto da Popper in poi. Su un punto, però, conviene essere molto chiari: la scienza segna la sua demarcazione dalle altre discipline, nella possibilità di essere sempre accertata, verificata, provata. Il riconoscimento di una scienza logica si fonda, infatti, essenzialmente sulla ragione: è l’unico denominatore comune che validi la scienza in quanto tale.

Ora, come abbiamo sottolineato in precedenza, non è in questa sede, preminente né immediata, l’esigenza di verificare la validazione scientifica della medicina omeopatica. Non lo è, almeno, se non ne viene prima completamente chiarita l’ambiguità etica. Questa necessità nasce da una rimozione antica quanto grave. Ed è in fondo la motivazione più insinuante e terebrante che anima le contestazioni “scientifiche” che le vengono mosse. Qual è dunque il fossato reale, e non quello ipocritamente agitato, che si è aperto tra l’omeopatia e le scienze definite dure.

È un vuoto pesante, scivoloso. Ed è stato coperto, è tuttora coperto, da false contrapposizioni, piene di artefatti e fuorvianti sillogismi: il numero di Avogadro, la tossicità dei farmaci chimici, le diluizioni infinitesimali, la visione “numerica” dei malati, la non ripetitività delle sperimentazioni, la preminenza della visione olistica, le vaccinazioni, la sottrazione da terapie certe, etc. Il problema è proprio un altro. Risiede in una distinzione severa. Una differenza importante e pesante: la cultura di due premesse concettuali opposte se non, addirittura conflittuali. E proprio dal punto di vista etico. Quali sono? La prima: la sensazione netta e chiara, nel versante ufficiale, che per fare ed esercitare la scienza, l’ateismo sia una precondizione privilegiata. La seconda: al contrario, o almeno quello che viene, ad una lettura superficiale, percepito all’esterno, è che, una delle radici più robuste, dell’omeopatia, la spiritualità, se non forse il teismo, sia una componente ineludibile della sua essenza.

 

Aut Fides aut ratio

Nei suoi Dialoghi sulla religione naturale, David Hume (1711-1776), smantellando la dimostrazione di Dio, ha certificato l’ateismo della ragione. Ammonisce, il filosofo inglese, sull’uso fuorviante dell’etica: di essere mossa e condizionata da eventi esterni che cercherebbero di validare in maniera aprioristica cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. Egli si sofferma sul rischio che alla religione e più in generale al teismo e allo spiritualismo si accrediti l’influenza maggiore, anche in ambito scientifico: la validità di un’impresa, la sua efficacia, la sua risolutezza, corrono il rischio di essere misurate sul metro di un finalismo extraterreno. “La bontà di un’azione, sostiene Hume, è (e deve essere) del tutto indipendente dalla promessa di un premio o dal timore di una pena”. Immanuel Kant (1724- 1804) stabilisce che se Dio resta di là dalla possibilità della comprensione scientifica, rimane comunque fondante e decisivo l’aspetto morale che Egli esercita sulla stessa ragione. Questo recupero è stato, a parer mio, decisivo, per definire che la morale e l’etica, nella scienza vanno correttamente indirizzate.

 

Il rasoio di Ockam

L’etica in omeopatia continua a permanere contraddittoria e irrisolta. Che messaggio e che finalismo viene portato ai pazienti in omeopatia? La lettura in filigrana del libro di Dario Antiseri “Medici eretici anzi dogmatici “riguardo la non scientificità delle medicine alternative, è la testimonianza evidente di queste rimozioni. Soprattutto perché non solleva nessuna risposta sulla prospettiva etica dell’omeopatia. In “Epistemologia, clinica medica e la questione delle medicine eretiche “dello stesso Antiseri, di Giovanni Federspil e Cesare Scandellari, si rinnovano gli antichi quesiti, ma non si affrontano i dubbi reali. La questione della scientificità (la critica fondamentale all’omeopatia) ha trovato argini fragili, ma proprio per quell’ipocrisia di cui si accennava all’inizio, il confronto viene sempre riproposto su quella antica querelle! Questo conflitto (come la verità) è solo omeopatico, purtroppo. In fondo, con molta pazienza (e con qualche risorsa in più) l’accertabilità scientifica non tarderà ad arrivare; quella clinica è già a portata di mano. Attenzione parlo di accertabilità, perché considero l’efficacia omeopatica pienamente compiuta. Purtroppo, il dibattito sulla medicina omeopatica scivola sempre sulla stessa diarchia: “scienza o non scienza”? La difesa omeopatica, quando messa al muro, si espone al punto da ipotizzare (in alcuni settori) addirittura altre possibilità di scienza. Ipotesi a dir poco risibile: questa è la scienza di questo mondo e per dirla con Platone, “non conosco un altro mondo all’infuori di questo”. Certo, il cuore del problema è che se da un lato ci si dispone ad attendere, senza limiti di tempo, la soluzione tecnica della validazione scientifica dell’omeopatia, si legittima la convinzione che si può anche differire sull’intento etico della sua azione. Così com’è, con un’etica irrisolta, l’omeopatia non riuscirà a stilare un programma organico per la sua ricerca, né clinico, né tantomeno biofisico. Se rimane arroccata su questa rigida difesa, il rasoio di Ockam non le darà scampo. Guglielmo di Ockam (1289-1349) con la visione ad effetto di un rasoio che tosa l’intelletto umano, spinge anche la scienza a liberarsi di tutte quelle astrazioni che erano state ideate dalla scolastica medioevale: “Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem”. “Non moltiplicare gli elementi più del necessario”. Non sono necessarie dimostrazioni superflue per validare una teoria. E quindi, secondo questa condizione, vanno superati, perché superflui e astratti, concetti come “essenza “e “legge naturale”. Certo, è più facile rifugiarsi nella massima socratica “sappiamo di non sapere…” ma, in accordo con Paolo Flores d’Arcais, questo potrebbe essere semplicemente uno scomodo alibi. In fondo, sostiene il filosofo friulano, “…abbiamo avuto grandi risposte, dal punto di vista scientifico, alle grandi domande metafisiche del passato”. La premessa di laicità della scienza mal si accorda con aspetti metafisici o presunti tali di una branca medica. È doloroso ma essenziale, dover sostenere questa laicità. Senza, è più facile, per critici e detrattori, aggredire la non ripetitività di un fenomeno. Questo spinge l’ortodossia scientifica a commettere errori palesi. Per esempio, dilatando a dismisura, e in maniera strumentale, la dichiarazione di universalità e immutabilità, di una delle teorie dell’omeopatia. Una (pur se storicamente tradizionale): quella kentista.

 

Da Svedenborg a Kent

James Taylor Kent, omeopata statunitense (1849-1916), ha realizzato la gran parte del suo impianto costitutivo sulla medicina omeopatica, dalle speculazioni di Emanuele Swedenborg (1688-1722). Costui concepì una dottrina spiritualistico-teosofica difficilmente trasmissibile dal punto di vista scientifico. Svedese, figlio dell’allora vescovo di Stoccolma, Svedenborg dedicò gran parte della sua esistenza alle scienze classiche (matematica, chimica, anatomia, fisica e filosofia). Pregevole, a quanto sembra, una sua opera sulla struttura e sulla funzione dei metalli. Curiosità originale: alla maniera di Leonardo, progettò prototipi meccanici. Tra questi, il progenitore, pensate un po’, dei moderni overcraft. All’età di cinquantasei anni, Svedenborg, inaugura una fase completamente diversa della sua vita; distaccandosi dai paradigmi scientifici, introduce contenuti spirituali nel suo vissuto personale e nel suo lavoro. Costruisce la sua esperienza dai sogni e, da successive visioni di un mondo metafisico di matrice cristiana, si convinse di poter comunicare con gli angeli e con gli spiriti. Tra questi, non pochi personaggi della Bibbia: Abramo, Mosè e, persino Gesù. Da quel momento iniziò ad occuparsi di teologia. Sancì, con fermezza, che queste entità guidarono la sua interpretazione delle Sacre Scritture e sostenne con veemenza di essere uno dei pochi uomini in grado di comunicare con l’aldilà. Al punto che le sue teorie furono ferocemente contestate, con relativa scomunica (ma delle opere e non della persona) dalla chiesa luterana dell’epoca. Nonostante ciò, Svedenborg influenzò non poco molte illustri menti delle epoche successive: da Coleridge a Kent, da Henry James a Kant, da Coventry a Pattmore, fino allo stesso C.G. Jung. Alla base delle speculazioni svedenborghiane vi è la famosa “Dottrina delle corrispondenze “: la concezione della fede, secondo Svedenborg, risiede nel vivere; in questa funzione, ogni nostra azione e ogni nostra scelta, di più, tutti i nostri amori, i desideri e i pensieri, che lo vogliamo o no, saranno in grado di determinare tutte le nostre scelte. Ma solo, o per il Cielo o per l’Inferno. Perché ogni azione o cosa di questo mondo materiale conduce unicamente a queste due soluzioni. La scelta del Bene e della Verità, che nel mondo spirituale sono qualità reali dello Spirito di Dio (una sostanza divina identificabile nello Spirito Santo), tengono in vita ogni persona e realtà in modo costante. Solo queste acquisizioni consentono all’individuo di percorrere la strada di un bene, che Dio ha costruito da sempre per l’uomo. In sintesi, avere la giusta idea di Dio è, per Svedenborg, assolutamente fondamentale. Nella seconda parte dell’Illuminismo la “riscoperta” positiva del primitivo, nel senso della purezza e della semplicità, richiama, con Rousseau, il ritorno a queste forme di essenzialità e di spiritualismo. Ne sarà influenzato anche Gottfried Hahnemann (il padre del padre dell’omeopatia!). Gottfried, infatti, sposa l’idea che l’elemento razionale venga a convivere, obbligatoriamente, con il sentimento: non c’è più una fede nel progresso e, meno che mai, nella scienza. Farà fatica il giovane Samuele Federico Cristiano a liberarsi da questo imprinting paterno. Al contrario, Kent, fa invece proprie, con non poca sapienza e con grande finezza, le teorie di Svedenborg, tessendo la trama della semeiologia omeopatica nel palinsesto spirituale del filosofo svedese. La visione kentista della medicina omeopatica prevede passaggi obbligati e procedure rigide e puntigliose. Compare la visione di un universo animato da un principio vitale immateriale – la Sostanza semplice. Secondo Kent, infatti: a) essa è dotata di intelligenza formativa e dà forma all’economia dell’intero regno vegetale ed animale; b) senza di essa la materia sarebbe morta; c) con l’aiuto della sostanza semplice il di- vino Creatore può indirizzare tutto e tutti verso il conseguimento del loro fine più alto.

Scriverà Kent: “La sostanza semplice mantiene il corpo umano in movimento, animato, e ne assicura la perfezione delle funzioni e controlla l’operato della mente e della volontà.”, aggiungendo anche che “Quando è in contatto col corpo umano essa è costruttiva, ma quando essa si ritira le forze presenti nel corpo divengono distruttive”. Per il me- dico statunitense, la causa più probabile della malattia è “l’influsso della sostanza immateriale, invisibile, che, radicatasi all’interno dell’uomo, fluisce dal centro alla periferia, creando ulteriore disordine”. Ancora, secondo Kent, “Il centro di controllo è in una triade che impartisce le direttive, cervello, cervelletto e midollo spinalePoi abbiamo la volontà e l’intelletto… La forza vitale, ministra dell’anima, il limbus e – infine – Il corpo materiale.”

 

Da Kant a… Kent!

Se il fine di Kent era di traghettare la dottrina, elettiva- mente, su sponde spiritualistiche, non lo sappiamo, ma netta è la sensazione che la sua omeopatia entri in rotta di collisione con la visione laica della scienza di cui si accennava all’inizio. Bisogna pur sottolineare che queste teorie si nutrirono delle speculazioni filosofiche del- l’idealismo germanico. Fichte (1762-1814) e poi Schelling (1775-1854) il quale deciderà che la Natura è prodotta da un’intelligenza inconscia, e infine Hegel (1770-1831) con la sua visione dell’Assoluto. Quest’ultimo si oppose con forza al criticismo kantiano. A proposito di Svedenborg, il filosofo di Konisberg, infatti, scriveva “…se di diversi uomini, ciascuno ha il suo mondo proprio è da supporre che sognino… Ad uno sguardo che non escluda l’accordo con altri intelletti umani tutto apparirà certo e manifesto a tutti… E i filosofi finalmente abiteranno un mondo comune a quello che già da tempo occupano i matematici…”. Lo stesso Kant, dunque, studioso e conoscitore di Svedenborg, ben precisa i valori e i limiti di queste libertà, sia umane sia scientifiche. E, alla fine, nella sua opera giovanile “I sogni di un visionario spiegati con i sogni della metafisica “dedicato proprio a Svedenborg e ne i “Prolegomeni a ogni futura metafisica che voglia presentarsi come scienza, cala la mannaia, senza possibilità di appello: “Abbandonarsi a qualsiasi curiosità e non porre altro limite alla passione del conoscere che l’impossibile, è un velo che non disdice al- l’erudizione”.

 

Da Kent a Jung

Carl Gustav Jung (1875-1961), assorbe anch’egli, con pienezza, i dettami di Swedenborg riguardo alla sussistenza del Cielo spirituale tramite l’esistenza della sua corrispondenza cattiva, l’Inferno. È questa la premessa comune: che l’eterna presenza di Dio e del Bene egli che rappresenta, includa fatalmente l’esistenza del suo op- posto, il diavolo, quindi il male. Non a caso, Jakob Böhme, (1575-1624), tre secoli prima, aveva affermato che “tutto ciò che esiste nell’universo, consiste in un sì o in un no”. Anche nel pensiero di Carl Gustav Jung si fa strada una concezione della coesistenza degli “opposti”: Ma egli lo riporta nell’esclusivo piano della psiche. Anzi, a differenza di Kent, ogni intento spirituale scompare, per dar fiato all’etica laica della guarigione. “Ognuno di noi è seguito da un’ombra. Meno questa è incorporata nella vita conscia dell’individuo tanto più è nera e densa”, affermerà Jung, descrivendo il lato oscuro della vita co- sciente dell’uomo. Già Dostojevsky accennava a questi sotterranei dell’anima, un mondo che sta sotto e dietro la maschera della persona e dell’agire sociale. Jung non nasconde che vi si cela il luogo demonico e infernale del mito e della rappresentazione religiosa. La notte della nostra coscienza, dove abitano le ombre, i mostri, i morti, ma da dove è possibile pure ripartire e rigenerarsi. Tra Kent, e Svedenborg da un lato e, Jung, dall’altro, appare il distacco. Per Jung quest’ombra non può significare solo il male. Quest’ombra va finalmente affrontata, riconosciuta nei suoi tratti dolorosi, penosi e conturbanti. Questa parte di noi, definita notturna, va accolta come nostra. Il suo rifiuto e la sua rimozione rimandano al meraviglioso romanzo “Lo strano caso del Dr Jekill e Mr. Hyde”, di Robert Louis Stevenson (1850-1894). Lo scrittore scozzese descrive le pericolose peripezie del protagonista, un rispettabile uomo di scienza, che vive la propria dimensione d’ombra come fosse un’altra per- sona sfuggita al controllo e alla morale. “Talvolta si deve essere indegni, per riuscire a vivere pienamente “, taglia corto Jung. Se il male è l’altra faccia del bene, come l’ombra è l’altra faccia della luce, che senso ha giudicare le azioni degli uomini in termini di responsabilità? La sensazione che Jung, rispetto a Kent, abbia allungato la corsa della fionda della psicologia rispetto all’omeopatia, appare evidente. La visione kentista della medicina omeopatica, di fatto, sembra convogliare gran parte delle contestazioni, radicalizzando il conflitto, sia esternamente, sia, purtroppo, all’interno. E allora, con questa etica, la terapia omeopatica, avendo il grande limite di essere ancorata a proposizioni scienti- fiche ampiamente discutibili, corre il rischio di essere propugnata fideisticamente da alcuni suoi mentori? Si aggiunga anche la sensazione che esiste un limite grave: quello di non essere suscettibile di evoluzione, dal momento che nella sua formulazione essa è intrinsecamente autolimitante. Purtuttavia, se esiste questa deriva fonda- mentalista, le va riconosciuta almeno coerenza, nel pro- porre un metodo sperimentale diverso, originale, che non vuol proprio dipendere da premesse scientifiche laiche. È vero, ma l’ammonizione di Bertrand Russell (1872-1970) “Il mondo non ha bisogno di dogmi, ma di libera ricerca”, illumina che ogni qualvolta una teoria ti sembra essere l’unica possibile, va preso come un segno che non hai capito né la teoria né il problema che s’intendeva risolvere. La confusione, infine, potrebbe essere il peggior nemico. Una presunta interpretazione metafisica e una scarsa conoscenza dell’omeopatia misero, qualche anno fa, la Conferenza episcopale in difesa, sollecitando a diffidare di pratiche terapeutiche non allineate e paraspirituali.

 

Conclusioni

Il rischio più sottile è di ergersi a depositari del giusto, del buono, del corretto, dell’assoluto. E che l’intento curativo sia connesso a premesse fideistiche o, peggio, moralistiche. E che, l’ipocrisia di cui accennavamo all’inizio, esondi e invada anche il rapporto medico-paziente, spingendo il primo a radicalizzare l’assioma e il secondo a negarsi; per esempio omettendo al suo omeopata altre scelte terapeutiche, in un gioco delle parti tacito e correo. Paul Feyerabend (1924-1994) ha avuto il coraggio e la lungimiranza di sostenere che “la conoscenza ha bisogno di una pluralità d’idee”. L’etica in omeopatia deve affrancarsi da contenuti fideistici per rafforzare la convinzione che, anche una filosofia limitata come l’empirismo scientifico ha la necessità di rispettare i metodi alternativi. Sempre Feyerabend assume che “le teorie più radicate non sono mai così forti da determinare la scomparsa dei metodi alternativi”, proprio perché… “I metodi alternativi sono gli unici a scoprire gli errori delle discipline ufficiali” Si scelga, dunque, quale etica configurare per l’omeopatia. Se l’intento “etico” del suo agire terapeutico sarà laico, ponendo sempre al centro il paziente-uomo, ma solo l’uomo e non altro, l’omeopatia “risulterà ancora più necessaria proprio per ragioni etiche e allora avremmo una ragione in più (per legittimarla), anziché un conflitto con la scienza.” (P. Feyerabend)

 

Bibliografia

Antiseri D., Reale G., Quale ragione? Raffaello Cortina, 2001

Antiseri D., Federspil G., Scandellari C., Epistemologia, clinica medica e la «questione» delle medicine «eretiche», Rubattino

ed., 2003.

Brome, V. Vita di Jung, Bollati Boringhieri, 1994

Carotenuto, A.,Jung e la cultura del 20° secolo, Bompiani, 2000

Crasta F.M.,, La filosofia della natura di E. Swedenborg, Milano, Angeli, 1999

Cassirer, E, Vita e dottrina di Kant. Firenze, La Nuova Italia, 1984

De Bartolomeo M., Filosofia, Dall’Illuminismo all’Idealismo-. Napoli, Atlas, 2001

De Torrebruna R., Turinese L., Hahnemann-Vita del padre dell’omeopatia- 2007, Edizioni E/O

Feyerabend P., I limiti della ragione, Il saggiatore 1983

Feyerabend P., Contro il metodo: abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, Feltrinelli, 1975

Feyerabend P., La scienza in una società libera, Feltrinelli 1981

Flores d’Arcais P., Onfray M., Vattimo G., Atei o credenti? Filosofia, politica, etica, scienza, FAZI editore, 2007

Gargiulo P., Grazie Lancet – Natura e Benessere. 2005, num. 18,

pag 66-71- FN Editrice

Gargiulo P., Le ombre e le luci di Eutanasia – Natura e Benessere. 2007, num. 24, pag.18-25- FN Editrice

Hume D., Dialoghi sulla religione naturale

Giovetti P., Biografia di E. Svedenborg, ed. Mediterranee, 2004

Jung C.G., Aspetti generali della psicoanalisi, 1913

Jung C.G., Psicologia e Alchimia, 1935

Jung C.G., Paracelso come medico, 1941

Jung C.G., Paracelso come fenomeno spirituale, 1942

Jung C.G., Il problema dell’Ombra, 1946

Jung C.G., Analisi dei sogni

Màdera, R. Carl Gustav Jung. Biografia e teoria, Bruno Mondadori, 1998

Kant I., Prolegomeni ad ogni futura metafisica che voglia presentarsi come scienza

Kant I., I sogni di un visionario spiegati con i sogni della metafisica

Kant I., Princìpi metafisici della scienza della natura

Kant I., Critica della ragion pura

Kant I., Fondazione della metafisica dei costumi

Kent J.T., Il grande interrogatorio omeopatico

Kent J.T., Lezioni di filosofia omeopatica

Kent J.T., Materia medica omeopatica

Lubrano A., La vita di Samuele Hahnemann. – Natura e Benessere. 2007, num. 24, pag 26-32- FN Editrice

Pareyson L., Estetica dell’Idealismo tedesco – I volume

Ratto P., Kant, la regola e la passione. Il ruolo dell’immaginazione nella Critica del Giudizio, 2002

Russel B., Storia della Filosofia Occidentale

Schmidt P., The life of James Tyler Kent, Brit. Hom. Jour. 1964, 3, 152-160

Scola A., Flores d’Arcais P., Dio? Ateismo della ragione e ragioni della fede, Marsilio 2008

Swedenborg E., La zona grigia di Minerva, Tea Longanesi, 1996

Swedenborg E., Cielo e Inferno ed. Mediterranee 2004

Swedenborg E., Conversazione con gli Angeli, ed. Mediterranee, 2004

Swedenborg E., La bibliografia spirituale.