La chetosi come possibile dietoterapia in oncologia.

 La chetosi come possibile dietoterapia in oncologia.

 

 

Un protocollo di chetosi, se adeguatamente prescritto e monitorato, può divenire una terapia metabolica a sostegno delle terapie convenzionali in diverse forme tumorali.

 

 

Di Marco Marchetti

 

 

Già da tempo, molti studi hanno dimostrato l’esistenza di una particolare via metabolica comune in diverse forme tumorali.

Le cellule tumorali si caratterizzano, tra l’altro, per un utilizzo estremamente particolare del glucosio. Indipendentemente dalla presenza di ossigeno, il loro metabolismo è essenzialmente anaerobio ossia metabolizzano grandi quantità di glucosio trasformandolo in lattato anziché ossidarlo completamente fino ad anidride carbonica attraverso la normale respirazione cellulare.

Questa via metabolica è meno conveniente in termini di resa energetica e viene compensata da una maggior captazione di glucosio. E’ possibile affermare che la cellula tumorale si differenzi da quella normale per un aumentato fabbisogno di glucosio.

Le cellule tumorali, rispetto alle cellule normali, hanno anche altre peculiarità. Ad esempio mostrano significative alterazioni nel metabolismo delle specie reattive dell’ossigeno. Producono cioè grandi quantità di ROS.

Questa condizione è nota come effetto Warburg.

A questo proposito è stato ipotizzato che le cellule cancerose aumentino il metabolismo di glucosio e idroperossido per compensare l’aumento dei livelli di ROS.

Ulteriore peculiarità risiede nel fatto che le cellule tumorali hanno un’aumentata attività della via del pentoso fosfato. Nella via del pentoso fosfato, il glucosio viene ossidato per produrre due molecole di nicotinammide adenina dinucleotide fosfato, (definito con l’acronimo NADPH) e di ribosio-5-fosfato.

Il NADPH agisce come cofattore per il sistema di glutatione / glutatione perossidasi e per il sistema tioredossina / tioredossina perossidasi. Questi sistemi sono responsabili della disintossicazione da H2O2 e perossidi organici. Hanno cioè il compito di bilanciare lo stato redox della cellula e di prevenire l’eventuale danno ossidativo.

E’ stato anche dimostrato che la privazione di glucosio provoca maggior stress ossidativo e tossicità nelle cellule tumorali rispetto alle cellule normali.

Sintetizzando, possiamo affermare che moltissime forme tumorali si caratterizzano sia per una maggior produzione di specie reattive dell’ossigeno capaci di indurre danno cellulare, sia per una maggior captazione di glucosio derivante da una minor capacità metabolica.

E’ stato ipotizzato che la cellula tumorale rinunci ad una maggior resa energetica derivante da una completa ossidazione mitocondriale del glucosio per limitare la produzione di ROS, e veicoli gran parte del glucosio captato per poter disporre di una maggior riserva di sistemi redox come NADPH e ribosio 5 fosfato, utili per  tamponare la maggior presenza di specie reattive dell’ossigeno

Partendo da queste considerazioni, è ragionevole ipotizzare che costringere le cellule tumorali ad usare il metabolismo ossidativo mitocondriale attraverso una dieta chetogenica, causerebbe selettivamente uno stress metabolico ossidativo nel cancro rispetto alle cellule normali.

L’aumento dello stress ossidativo metabolico nelle cellule tumorali dovrebbe, a sua volta, essere in grado di sensibilizzare selettivamente le cellule tumorali alle chemioterapie convenzionali.

In chetosi infatti la glicemia viene mantenuta costante dal processo di gluconeogenesi, mentre la produzione di energia avviene grazie alla abbondante sostituzione del AcetilCoA derivante dalla glicolisi con quello derivante dalla beta ossidazione degli acidi grassi.

Lo stato di chetosi potrebbe essere in grado di esasperare lo stress ossidativo e la produzione di ROS da parte della cellula tumorale, mortificandone al contempo la capacità di produrre sistemi redox in grado di bilanciare l’eccessiva presenza di queste specie tossiche.

L’elevata presenza di specie reattive dell’ossigeno, dannosa di per se, avrebbe anche un effetto sinergico con le terapie in corso, andando a renderle più efficaci.

Purtroppo, sebbene la letteratura abbondi di lavori in questo campo, ancora c’è molta strada da fare.

La maggioranza dei lavori infatti non è sull’uomo, i dati sull’uomo sono relativamente pochi ed in particolare i confronti rispetto alla normale alimentazione sono scarsi.

Oltretutto molto spesso i pazienti arruolati hanno dimostrato scarsa aderenza alla terapia alimentare proposta.

Altro elemento critico e discriminate è l’eterogeneità della terapia chetogenica.

Esistono più chetosi.

Lo stato di chetosi infatti si instaura quando l’introito di carboidrati scende al di sotto di un valore soglia.

Esistono protocolli di chetosi caratterizzati da un basso apporto di proteine ed alto apporto di grassi, così come esistono protocolli di chetosi in cui si somministrano importanti quantitativi proteici e scarsissimi quantità di lipidi.

L’apporto proteico appare comunque determinante e molti studi sottolineano l’importanza di una adeguata massa magra per poter rispondere meglio alle terapia somministrata.

Risultati incoraggianti si hanno dalle relazione tra FFM e cancro al seno dove un protocollo di chetosi potrebbe essere supportato anche dall’utilizzo di frutta secca e semi di lino.

Questi oli di altissima qualità potrebbero svolgere un ruolo nella modulazione degli estrogeni attivando una chemioprevenzione alimentare primaria e secondaria specialmente se in presenza di una valida flora batterica.

L’argomento che merita maggior attenzione è quindi la determinazione del corretto apporto proteico sia in termini quantitativi che in termini qualitativi.

Attualmente l’apporto proteico fornito è in funzione del peso corporeo, senza discriminare le masse che quel peso compongono.

Andrebbe studiata in modo più approfondito anche la scelta del profilo aminoacidico migliore.

Inoltre deve essere studiata meglio la grande variabilità nella composizione corporea dei pazienti nonché le alterazioni metaboliche indotte dalle diete chetogeniche.

La ricerca deve quindi fare ancora molta strada, ma allo stato attuale delle conoscenze è possibile ipotizzare che un protocollo di chetosi possa essere una valida opzione terapeutica in associazione alla terapia convenzionale a condizione che sia valutato correttamente lo stato nutrizionale del paziente e che  in funzione di quello venga determinata e somministrata una dose corretta di proteine ed aminoacidi.

 

 

Rif.:

A Nutritional Perspective of Ketogenic Diet in Cancer: A Narrative Review

Camila L. P. Oliveira, MSc; Stephanie Mattingly, PhD; Ralf Schirrmacher, MD; Michael B. Sawyer, MD; Eugene J. Fine, MD; Carla M. Prado, PhD, RD*

 

Ketogenic diets as an adjuvant cancer therapy: History and potential mechanismKetogenic diets as an adjuvant cancer therapy: History and potential mechanism

Bryan G. Allen n,1, Sudershan K. Bhatia 1, Carryn M. Anderson,
Julie M. Eichenberger-Gilmore, Zita A. Sibenaller, Kranti A. Mapuskar, Joshua D. Schoenfeld, John M. Buatti, Douglas R. Spitz, Melissa A. Fath