La passione per il caffè è scritta nel nostro DNA

 

A cura della dott.ssa Antonietta Spagna

E’ un fenomeno sorprendente che diversi popoli di tutte le parti del mondo, affatto indipendentemente gli uni dagli altri , abbiano trovato la caffeina in diverse piante. Gli arabi la scoprirono nel caffè , i cinesi nel thè, gli abitanti dell’Africa centrale nella noce di cola, gli abitanti dell’Africa del sud nelle foglie di una specie di Cyclopia, i nativi del sud America nell’ex paraguanensys e nei semi della Paultinia sorbilis, gli indiani del nord America nelle Apalacentee, nelle foglie dell’Ilex .

E’ sorprendente che la caffeina non si possa scoprire né per il suo odore, né per il suo sapore. Si aggiunga che questo alimento, tanto ricercato, è così affine ad un componente dei nostri tessuti.

Sarà questo solo accidentale? o dobbiamo pensare che la molecola della caffeina, a cagione della sua struttura , sia capace di penetrare negli stessi tessuti nei quali si trova la xantina come tale o modificata  e grazie a questo eserciti un’azione eccitante?”

E’ stato  identificato inoltre  un gene che potrebbe spiegare perché alcuni individui bevono più caffè di altri. Secondo alcuni  ricercatori dell’Università di Edimburgo (Scozia) dell’Università di Trieste, dell’Ospedale pediatrico Burlo Garofolo e di un’azienda italiana specializzata nella produzione appunto di caffè, la quale ha finanziato lo studio in questione .

la variazione del DNA in un gene chiamato PDSS2( Decaprenyl-difosfato sintetasi subunità 2)  che influenza il bisogno quotidiano di caffeina.

 Gli individui  che possiedono questa variante genetica nel loro DNA tendono a consumare meno caffè.

la variante del gene PDSS2 controlla un altro gene specializzato proprio nel regolare il metabolismo della caffeina: quando quest’ultimo gene non viene attivato sufficientemente, la caffeina tende ad essere smaltita molto lentamente dall’organismo, annullando il desiderio di bere altro caffè

Lo studio è stato  pubblicato sulla rivista Scientific Reports, l’autore dello studio Nicola Pirastu dell’Università degli Studi di Trieste in Italia “Conoscere il genotipo di questo gene può [anche] spiegare perché le persone reagiscono in modo diverso a diversi farmaci”.