Nel (ormai) lontano 2000 si riuscì a vedere un barlume di luce quando la FDA approvò l’utilizzo dei derivati del 2-ossazolidinone, come nuova frontiera delle terapie antibiotiche moderne. Questa molecola in realtà non è altro che un carbammato ciclico, il quale deriva dall’ossidazione del carbonio in posizione 2 dell’ossazolidina, un eterociclo a cinque membri, dove un carbonio ed un azoto si interpongono in una sistema ciclico recante tre atomi di carbonio, di cui uno carbonilico.
Gli ossazolidinoni fungono da batteriostatici ed impediscono l’attacco l’attacco dell’N-formilmetionil-tRna alla subunità 70S dei ribosomi batterici, anche se, evidenze sperimentali suggeriscono che un loro utilizzo ad alte concentrazioni e per intervalli prolungati può anche risultare battericida.
Il primo analogo degli ossazolidinoni, ovvero la molecola che poi è servita da composto guida per la sintesi e la modifica di altre strutture aventi migliori effetti batteriostatici e minori effetti collaterali, fu la Cicloserina la quale differisce strutturalmente dai 2-ossazolidinoni che vengono ormai preparati e somministrati. Essa infatti non reca un gruppo carbonilico che separa l’azoto eterociclico dall’ossigeno, bensì quest’ultimo si trova in posizione alfa all’azoto stesso. La farmacodinamica della Cicloserina prevede che questa vada ad inibire due enzimi responsabili della sintesi precoce del peptidoglicano, costituente della parete batterica, ovvero la D-Ala-D-Ala sintetasi, l’enzima responsabile dell’unione omologa di due monomeri di D-Alanina e l’Alanina-Racemasi, ovvero l’enzima che converte l’Alanina nello D-stereoisomero. La Cicloserina, somministrata per via parenterale, presenta un buon profilo farmacocinetico, con un accettabile VD (volume di distribuzione) dovuto ad un’accentuata lipofilia, ciononostante, quest’ultima caratteristica non sia assolutamente utile, dal momento che permette all’antibiotico stesso di attraversare la BEE e di produrre marcati effetti tossici a livello del SNC (neurotossicità marcata). Il suo utilizzo è ormai limitato all’ambiente ospedaliero nella terapia antitubercolare.
Gli ossazolidinoni vengono quindi definiti primariamente degli antiobiotici chemioterapici, poiché, avendo una provenienza totalmente sintetica, non rispettano la regola di derivazione microbica che gli antiobiotici classici hanno, vedi appunto beta-lattimici, cefalosporinici, macrolidi etc.
Tra i derivati ossazolidinonici, il Linezolid è sicuramente quello maggiormente noto, dal momento che, oltre ad avere applicazione ospedaliera viene anche prodotto commercialmente sotto forma di principio attivo per OS (come compressa rivestita, es. Linezolid TEVA® 600 mg: lattosio monoidrato, lattosio monoidrato atomizzato (spray-dried), amido di mais, crospovidone (E1202), idrossipropilcellulosa (E463), croscarmellosa sodica (E468), magnesio stearato (E470b), ipromellosa 2910 5cP (E463), macrogol 400 e biossido di titanio (E171) ). Strutturalmente quest’ultimo si presenta chiaramente come derivato ossazolidinonico dove l’N ciclico lega un sostituente fluorobenzenico orto-sosituito con un gruppo morfolinico. Risulta inoltre importante sottolineare che, al fine di preservare l’efficacia batteriostatica del derivato ossalozidinonico, il gruppo acetamminometilico legato al carbonio in alfa all’ossigeno del ciclo deve necessariamente conservare la stereochimica di tipo S e non può essere convertito ne modificato.
Peculiare ed importante dal punto di vista sanitario è sicuramente la versatilità di queste molecole, i cui derivati trovano impiego anche come anticoagulanti orali (i NAO come il rivaroxaban) e che in passato erano stati proposti anche come potenziali iMAO, per questo motivo la loro somministrazione non deve essere mai effettuata in concomitanza di altre farmaci aventi medesimo meccanismo d’azione, come gli iMAO stessi o molecole influenzanti i livelli di catecolamine circolanti.
Ciononostante l’utilizzo dei 2-ossazolidinon-derivati (dalla cui scoperta sono ormai passati circa 40 anni) risulta essere una valida alternativa nel caso in cui la somministrazione di differenti molecole antibiotiche non sia stata efficace, è opportuno sempre ricordare che, l’utilizzo di un antibiotico è valido solo quando la sua efficacia è comprovata da un opportuno antibiogramma.
Meccanismi classici di resistenza adoperati dai microrganismi nei confronti dell’antiobiotico sono:
-pompe proteiche di efflusso
-sintesi di bersagli modificati che impediscono il legame a livello della subunità ribosomiale
-enzimi inattivanti
È scongiurando il “do it yourself” che si tiene a bada l’antiobiotico-resistenza, fenomeno che purtroppo sta risultando sempre meno controllabile e sempre più vicino a causa dell’uso smodato e sconsiderato che si è avuto di questi farmaci negli ultimi decenni.