Sindrome metabolica : conoscerla per affrontarla…

SINDROME METABOLICA: conoscerla per affrontarla…
Non è semplice prendere le dovute cautele e i rispettivi doveri verso qualcosa
che dal punto di vista lessicale non incute parziale grado di paura; ma, ha mio
dire, come nelle grandi battaglie romane conoscere il nemico è il primo passo
per la vittoria.
Il termine sindrome identifica in medicina un insieme di sintomi provocate da
cause diverse, la sindrome metabolica è un crogiuolo di fattori quali fisiologici,
biochimici, comportamentali che interconnessi insieme conducono ad un
rischio maggiore di sviluppare malattie cardiovascolari, diabetici (tipo II) e
conseguente mortalità. Essa viene chiamata anche come “Sindrome X”,
“sindrome insulinoresistente”. Il fenotipo insulino-sensibile possiede un peso
corporeo normale, senza obesità viscerale o addominale, se è moderatamente
attivo e consuma una dieta povera di grassi saturi. Gli individui insulinoresistenti possiedono un metabolismo glucidico alterato in quanto: hanno una
risposta anormale ad un incremento di glucosio, un aumento dei livelli di
glucosio a digiuno e/o ipoglicemia conclamata, riduzione dell’azione
dell’insulina dopo somministrazione endovena (clamp euglicemico) con
diminuzione della clereance del glucosio insulino-mediata e/o riduzione della
soppressione della produzione endogena di glucosio. Una normale
concentrazione di insulina non produce un’adeguata risposta della stessa nei
tessuti bersaglio periferici, quali adiposo, muscolare ed epatico. In questo
contesto le cellule β del pancreas secernono più insulina (iperinsulinemia) per
superare l’iperglicemia tra individui insulino-resistenti. Sebbene
l’iperinsulinemia possa compensare inizialmente l’insulino-resistenza (ad
alcune azioni biologiche dell’insulina), ovvero il mantenimento della
normoglicemia, tuttavia, può causare una sovraespressione dell’attività
insulinica in alcuni tessuti normalmente sensibili. L’accentuazione di alcune
attività insuliniche accoppiate ad una resistenza si tramuta nelle manifestazioni
cliniche della sindrome metabolica. L’incapacità delle cellule β pancreatiche nel
tempo di produrre un’insulina sufficiente a correggere il peggioramento
dell’insulino-resistenza del tessuto porta a iperglicemia e a diabete mellito di
tipo 2 conclamato. Dal punto di vista biochimico la segnalazione fisiologica
dell’insulina è dovuta al conseguente legame dell’insulina con il recettore
dell’insulina, una tirosina chinasi attivata dal ligando. Il legame dell’insulina si
traduce in una fosforilazione della tirosina dei substrati a valle e attivazione di
due vie parallele: la via fosfoinositide 3-chinasi (PI3K) e la via della chinasi della
proteina attivata dal mitogeno (MAP). Il pathway PI3K-Akt è quello coinvolto,
mentre, il pathway della chinasi MAP funziona normalmente in insulinoresistenza. Ciò porta a un cambiamento nell’equilibrio tra questi due percorsi
paralleli. L’inibizione della via di PI3K-Akt porta ad una riduzione della
produzione di NO endoteliale, con conseguente disfunzione endoteliale e una
riduzione della traslocazione di GLUT4, che porta ad una riduzione della
captazione del glucosio. Al contrario, il pathway della chinasi MAP non è
influenzato, quindi c’è una continua produzione di endotelina-1 (ET-1),
espressione di molecole di adesione delle cellule vascolari e uno stimolo
mitogenetico alle cellule muscolari lisce vascolari. A causa di questi fattori, una
resistenza all’insulina porta alle anomalie vascolari che predispongono
all’aterosclerosi. Sebbene gli individui insulino-resistenti non abbiano bisogno
di essere clinicamente obesi, hanno tuttavia comunemente una distribuzione
anormale del grasso che è caratterizzata da un grasso corporeo
predominante. Indipendentemente dal contributo relativo del grasso viscerale
e del grasso sottocutaneo addominale alla resistenza all’insulina, un pattern di
obesità addominale (o superiore del corpo) è correlato più fortemente con
l’insulino-resistenza e il MetS rispetto all’obesità corporea più bassa.
La sindrome metabolica (MetS), è una sfida di tutto l’occidente, in quanto
interessa in misura maggiore le civiltà urbanizzate, con abitudini di vita
sedentarie e con stili alimentari sbagliati. Il rischio di sviluppare patologie è
concreto già a 5 -10 anni dall’individuazione della sindrome, di fatto non
semplice. Diviene rischio di primo ordine, per sviluppare patologie
aterosclerotiche a lungo temine.
La chiave del circuito patologico è il tessuto adiposo nel suo complesso (con
l’adipocita, i pre-adipociti stromali, cellule immunitarie ed endoteliali) in poche
parole con l’obesità viscerale che a sua volta causa insulino-resistenza.
L’aumento dell’apporto di nutrienti in misura eccessiva causa iperplasia ed
ipertrofia adipocitaria. L’ingrossamento conseguente conduce ad ipossia con
richiamo ed infiltrazione di macrofagi che producono in eccesso adipocitochine
che includono glicerolo, acidi grassi liberi (FFA), mediatori pro-infiammatori
(fattore di necrosi tumorale alfa, cioè TNF α) e interleuchina-6 (IL-6), inibitore
dell’attivatore del plasminogeno-1 (PAI-1) e proteina C-reattiva (CRP).
L’infiammazione conseguente crea un’infiammazione sistemica dovuta alla
propagazione della prima con conseguente comorbidità legate all’obesità.
L’integrazione di diversi segnali, paracrini, endocrini e autocrini includono la
mediazione per la sensibilità insulinica, stress ossidante, metabolismo
energetico, coagulazione del sangue e risposte infiammatorie che si ritiene
responsabili dell’instaurarsi dell’aterosclerosi, rottura della placca e
aterotrombosi. Quanto detto ci permette di capire che il tessuto adiposo non è
solo fonte energetica immagazzinata del nostro organismo ma anche un
potente tessuto endocrino. Si è accennato al rilascio dei FFA, i quali, la maggior
parte di quelli circolanti sono generati dagli adipociti sottocutanei della parte
superiore del corpo mentre i FFA splancnici che contribuisco all’accumulo
epatico sono dovuti al grasso intraddominale. Gli alti livelli ed un’esposizione
acuta di FFA causano nel muscolo scheletrico un’inibizione dell’assorbimento
del glucosio insulino-mediato, inducendo così ad insulino-resistenza; viceversa
un’esposizione cronica del pancreas altera la funzione β delle cellule dello
stesso. Gli FFA, inoltre aumentano la produzione di fibrinogeno e PAI-1. Questo
ultimo contribuisce alla formazione del trombo, in quanto inibitore del
plasminogeno 1 tissutale (tPA), per questo viene utilizzato come marcatore per
l’individuazione di un’attività alterata della fibrinolisi. I suoi livelli ematici sono
alti sia in soggetti con adiposità viscerale sia nei processi infiammatori (oltre
agli adipociti viene prodotto anche dalle piastrine e dal tessuto endoteliale). il
TNFα inibisce la via di segnalazione del substrato 1 del recettore insulinico
pertanto inducendo resistenza insulinica, induce l’apoptosi adipocitaria; inoltre
l’azione paracrina tenderebbe ad incrementare il rilascio FFA, portando ad una
dislipidemia aterogenica.
La CRP (proteina-C reattiva) può essere un importante valore predittivo
indipendente dai risultati sfavorevoli del MetS; gli elevati livelli sono associati
all’insulino-resistenza, BMI (indice di massa corporea), iperglicemia.
IL-6 rilasciata dal tessuto adiposo e muscolo scheletrico nell’uomo, è un
adipochina sistemica, che altera la sensibilità insulinica (i recettori sono
espressi ad esempio nell’ipotalamo per il controllo dell’appetito e assunzione
di energia), ma anche altera la produzione epatica della CRP. Essa sopprime
l’attività lipoproteica della lipasi.
L’Adiponectina, altro mediatore responsabile, regola il metabolismo dei lipidi e
del glucosio e aumenta la sensibilità all’insulina, regola l’assunzione del cibo e
del peso corporeo e protegge dall’infiammazione cronica. Le sue espressioni e
secrezioni sono ridotte dal TNFα, per questa sua azione inversa viene
considerata “protettiva”. Ha un’attività anti-tireogena multifattoriale, la quale
include inibizione dell’attivazione endoteliale, ridotta conversione dei
macrofagi in cellule schiumose e inibizione della proliferazione della
muscolatura liscia e del rimodellamento arterioso che caratterizza lo sviluppo
della placca aterosclerotica matura. L’ Adiponectina, inoltre, inibisce gli enzimi
glucogenici epatici deputati alla produzione endogena di glucosio nel fegato.
Altra adipochina che svolge un ruolo rilevante è la leptina, coinvolta nella
regolazione della sazietà e dell’apporto energetico. I recettori di quest’ultima
sono principalmente espressi nell’ipotalamo e nel tronco celebrale. Qui l’azione
è nel controllo della sazietà, il dispendio energetico e funzione neuroendocrina.
Alti livelli plasmatici di leptina aumentano durante lo sviluppo dell’obesità (la
quale non sopprime l’appetito) e si riducono durante la perdita di peso. La
resistenza alla leptina sembra avere un ruolo chiave nell’obesità. La leptina,
infine aumenta la pressione del sangue attraverso l’attivazione del sistema
nervoso simpatico, mediato dall’ipotalamo ventro-mediale e dorso-mediale,
attraverso l’azione vasodilatatrice mediata da NO (ossido nitrico), ma anche
aumento della resistenza vascolare periferica e attività del nervo simpatico.
Da questo quadro si riscontrano diverse condizioni fisiopatologiche che
possono coesistere e possono accelerare l’insorgenza del Mets: l’insulinoresistenza, dislipidemia, ipertensione. Le quali a loro volta contribuiscono,
come un circuito a catena, ad una funzione endoteliale compromessa, ad uno
stato di ipercoagulazione. Anche una predisposizione genetica associata a
fattori ambientali può essere causa dell’insorgenza; secondo diverse ipotesi
definite come “ipotesi genotipica parsimoniosa” e successivamente “ipotesi
fenotipica parsimoniosa”; la maggiore capacità di immagazzinamento del
glucosio dovuto ad un approvvigionamento alimentare instabile avrebbe
favorito soggetti con alterazione glucidica in quanto capaci di una migliore
probabilità di sopravvivenza dovuta ad un maggiore stoccaggio di energia in
eccesso. Tuttavia, tali variazioni genetiche sarebbero risultate sfavorevoli
durante il periodo di maggiore benessere sociale. Questo è sembrato trovare
riscontro in alcuni casi, con l’associazione di malnutrizione intrauterina di feti
e basso peso alla nascita e successivo sviluppo di MetS e diabete mellito di tipo
2 in età adulta.
Cosa può essere fatto per arginare la sindrome o quanto meno rallentarla?
La dieta può essere “l’ago della bilancia”, in quanto se ricca di grassi genera un
aumento dello stress ossidativo e un’attivazione di fattori proinfiammatori;
viceversa un’alimentazione ricca di frutta e fibre non causa a parità di stesso
contenuto calorico insorgenza di stress ossidativo e quindi può considerarsi un
aiuto preponderante per soggetti a basso e medio rischio.
Un fattore determinante per l’insorgenza del MetS è lo stress: i mediatori quali
il cortisolo, in individui predisposti geneticamente ed in un ambiente
predisposto a stimoli stressanti, possono incrementare un accumulo di grasso
viscerale dovuto all’ipercortisolismo cronico, bassa secrezione della crescita e
all’ipogonadismo.
Va sottolineato che i glucocorticoidi aumentano l’attività di enzimi coinvolti
nella sintesi degli acidi grassi promuovendo di fatto ad una secrezione di
lipoproteine, una gluconeogenesi epatica e incrementando una differenziazione
dei pre-adipociti in adipociti. Quest’ultimi contribuirebbero ad un aumento della
massa grassa nel corpo, inibendo la captazione di aminoacidi stimolata da
insulina mediata dagli stessi adipociti, aumentando la lipolisi o l’ossidazione
lipidica e di conseguenza l’insulino-resistenza periferica. Possiamo affermare
quindi che l’alterazione ormonale porta ad un’ipersecrezione insulinica reattiva,
ad un’obesità viscerale crescente, sarcopenia e conseguente dislipidemia,
ipertesione e diabete mellito.
In base a quanto detto è necessario seguire dei protocolli che permettano di
controllare efficacemente la sindrome e scongiurare l’insorgenza di patologie
correlate, peggiorando il quadro clinico.
Il primo cambiamento d’attuare e certamente la modifica dello stile di vita:
perdita di peso, attività fisica, migliore alimentazione. Infine il trattamento
farmacologico. La mancata esecuzione di questo protocollo conduce con il
tempo a diversi sintomi sistemici, su differenti apparati ed organi con
l’instaurarsi di patologie da lievi a gravi. Un esempio sul sistema riproduttivo:
ipogonadismo, ovaio policistico, disfunzione erettile; oppure sulla pelle come
alcuni casi di psoriasi. Diviene indispensabile valutare il rischio. Al momento
viene eseguito un algoritmo per stabilire tre categorie di pazienti, da lì, stabilire
l’approccio e il protocollo più ottimale. L’algoritmo è quello di Framingham
standard, che include parametri come l’età, il fumo di sigaretta, la pressione
sanguigna, il colesterolo totale, HDL-C (colesterolo buono).
Le terapie che si possono attuare per la perdita di peso sono diverse. Fra queste
il perseguire una dieta con restrizione calorica di 500kcal/d del fabbisogno
nutrizionale giornaliero insieme ad un aumento dell’attività fisica,
modificazione comportamentale e nei pazienti con livelli BMI elevati assunzione
di terapie farmacologiche per la perdita di peso. Un altro approccio è la dieta
mediterranea, ricca di frutta e verdura, anche un apporto del 10 -35 % di apporto
proteico dell’apporto calorico totale ad eccezione in persone affette da disturbi
renali. Infine l’utilizzo di un piano alimentarie, con liste della spesa, ricette e
menù per limitare le tentazioni. Anche la sostituzione del pasto con qualcosa
con un contenuto calorico nutrizionale certo e limitato può essere effettuata se
sotto controllo medico. L’inserimento nell’alimentazione di acidi derivanti dal
mondo vegetali quindi acidi grassi monoinsaturi come ad esempio olio di oliva,
omega tre può essere un valido aiuto. Ciò insieme a l’assunzione di fibre
solubili, avena, psillio, pectina, le quali migliorano la dislipidemia aterogenica.
Inoltre elementi a basso indice glicemico, sono sicuramente da prediligere. Ad
una corretta dieta deve essere associata un’attività fisica. Vengono consigliati
regimi con un minimo giornaliero di 30 minuti di attività fisica ad intensità
moderata, oppure 60 minuti di camminata a passo rapido di intensità fisica
moderata collegata ad altre attività. Ogni volta che la camminata veloce viene
scelta come attività preferita, è opportuno aggiungere 500 passi a intervalli di
3 giorni fino al raggiungimento di un target di 10.000-12.000 passi / giorno.
Nei casi di alto rischio l’attività fisica deve essere strettamente controllata da
un medico specialista, in modo che quest’ultimo possa consigliare quale attività
sia migliore per la persona in sé, considerate le barriere fisiche eventualmente
presenti, le quali potrebbero scoraggiare il proseguo dell’attività stessa.
Quando vengono scelte più sessioni brevi (10 minuti ciascuna) piuttosto che
una sessione lunga ciò si è visto aiutare i pazienti ad accumulare più minuti di
esercizio. Questi 30 minuti di attività fisica ottenuti in tre sedute da 10 minuti
equivalgono al dispendio energetico di 1500 kcal a settimana. Una
combinazione di resistenza ed esercizio aerobico è la migliore, ma qualsiasi
attività è ottima rispetto a nessuna. L’impatto dell’esercizio sulla sensibilità
all’insulina è evidente da 24 a 48 ore e scompare entro 3-5 giorni.
Con il proseguo delle ricerche si è riscontrata la necessità di adottare una
terapia comportamentale che fosse in grado di mantenere a lungo termine
regimi di vita ottimali. Difatti, fissare obiettivi, pianificare pasti, leggere
etichette, assumere i pasti in modo regolare, ridurne le dimensioni, fare attività
fisica costante in grado anche di gestire lo stress si è rilevata la tecnica più
promettente. Quando quello appena descritto non ha più efficacia o in pazienti
ad alto rischio (con un BMI di almeno 30 kg / m 2 o per quelli con un BMI di
almeno 27 kg / m 2 e comorbidità associato al loro peso in eccesso), si inserisce
la terapia farmacologica. Sull’argomento esistono linee guida ben precise e nel
successivo articolo verranno indicate in maniera esaustiva i farmaci e le terapie
utilizzate in campo clinico.
In conclusione capire in cosa consiste il MetS è indispensabile per trovare la
volontà di cambiare stili di vita e rimanere in un corpo sano più a lungo
possibile: conoscerlo per affrontarlo.
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Dott.ssa Caterina Tramontana